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Il  mio bel sole

di Gemma Ferruggia
Le riscoperte n°76
Data di pubblicazione: 25 dicembre

La piccola Regina Frescobaldi era sola e pensava. Ella era abituata alla solitudine quanto una donna vecchia, disillusa di tutti e d’ogni cosa: e abituata a pensare per credere di non essere sola.

I bambini dei poveri — quando sono intelligenti — godono di questo privilegio che culla la fantasia, prepara alla virtù del silenzio e alla più bella conquista individuale: bastare a sé stessi.

Tanto come dire che Regina Frescobaldi, quantunque avesse appena nove anni, non era una bambina. Il suo fondo cuore, già pieno di ricordi, non racchiudeva un solo raggio di luce schiettamente infantile. Pareva una posatrice consumata, alle bimbe della sua età: invece era sincera. Ella non sapeva, proprio, né divertirsi, né ridere. La donnina sorrideva, qualche volta: una sfumatura di sorriso che ispirava terrore e pietà agli adulti: le smorte labbra innocenti sembravano fare una concessione alla vita degli altri. E sembravano, anche, aver bevuto il sorriso breve — in cui balenava l’ironia — a una torbida acqua: come se una tragica coppa, ricolma di tossico misterioso, fosse stata offerta alla bocca già dolorosa, già consapevole dei fremiti che trattengono i singhiozzi; delle pieghe amare che sigillano lo sdegno.

Il sentiero

di Clarice Tartufari

Adimaro e Gloriana, fratello e sorella, picchiarono contemporaneamente coi pugni chiusi sulla parete che divideva le loro stanze e subito, vestiti alla svelta, scesero nel salone a pianterreno della grande villa, tutta ancora in silenzio.

Adimaro trasse a sé il battente del portone e su dai campi, giù dagli alberi, figure gioiose emersero, calarono, si disposero lietamente in fila, protendendo verso i ragazzi le braccia colme di promesse. Erano i giorni delle vacanze estive che si presentavano ad accoglierli con tanta festosità. Il sole, meno impaziente di loro sapendo che in ogni modo avrebbe veduto sempre le stesse cose, non si era alzato, ma stava per alzarsi e già uno stendardo multicolore ne annunziava l’arrivo trionfale.

Vedendo sull’orlo del pozzo una secchia ricolma, i ragazzi corsero a immergervi le mani, ed allora osservandone la differenza della tinta e delle proporzioni, si accorsero di essere cambiati e cominciarono a scrutarsi curiosamente, ammirati a vicenda della loro floridezza, inorgogliti nel vedere ciascuno sul viso dell’altro i segni della giovinezza che stava per avvicinarli.

Così, la vita!

di Flavia Steno
Le riscoperte n°85
Pubblicazione 26 febbraio

In piazza Corvetto, mentre s’avviava all’ufficio su oltre il viale dell’Acquasola, gli occhi di Federico Angeleri si soffermarono distrattamente dapprima, più attenti poi e subito pietosamente interessati sopra una figurina femminile tutta nera che precedendolo di pochi passi si trascinava nella stessa direzione del giovane. Appunto il muovere lentissimo e strano della donna che pareva non trovasse più la forza di sollevare il piede né quella di raccogliere nella piccola destra abbandonata lungo la persona la povera sottana a sbrendoli troppo lunga per lei e inzaccherata di tutto il fango raccolto per le strade ancora molli della pioggia della notte, aveva attirato gli sguardi del giovane.

— Che miseria! – egli pensò.

E subito dopo una riflessione seguì nel suo cervello all’osservazione:

— Ma perché non solleva quello straccio che spazza la strada?

Comprese subito perché .

Una larga pozza d’acqua non ancora asciugata dal bel sole di maggio levatosi radioso in un cielo di cobalto sgombro di nubi, aveva costretto la donna a raccogliersi la gonnella intorno alle ginocchia per superare l’ostacolo lieve e nell’atto i suoi piedi s’erano scoperti calzati da certe miserabili ciabatte sformate, scalcagnate, bucate che di scarpe non meritavano più il nome e che erano l’espressione eloquente e insuperabile del limite estremo della miseria.

Eterne leggi

di Clarice Tartufari

La stella di Venere, sola a ornare il silenzio vasto del cielo soffuso di bianchezza nella soavità dei primi albori, entrò per la finestra nel salone della casa addormentata e incoronò di piccoli raggi la fronte di Iulia bella, che rispose al saluto irradiandosi di fulgori.

Iulia bella non sorrideva con facilità; anzi si dilettava di rimanersene cinta di mistero sopra il fondo del piatto amatorio, dove un vasaio di Castel Durante l’aveva collocata in effigie, dotandola di venustà squisita fra la doppia lista dei capelli assettati dietro le orecchie e segnati di colore acceso per una fettuccia scendente dal capo, lungo le gote, fin sopra le spalle cariche a dovizia di pendagli e catene.

Ma nell’albeggiare di quella mattina di San Giovanni, mentre la campagna usciva dalla quiete notturna con tenui bisbigli, Iulia bella si compiaceva d’intrattenersi con la stella di Venere, come quando, forse, in altri secoli ella inviava sospiri alla notte gemmata da qualche balcone di qualche palazzo pesarese, dopo avere motteggiato donnescamente coi gentiluomini di Alessandro Sforza, duca novello di Pesaro, o aver danzato per alleviar la noia di madonna Lucrezia Borgia, moglie giovanetta del Signore Giovanni.

Titolo: Eterne leggi

Autrice: Clarice Tartufari

Le riscoperte n°84

Pubblicazione 19 febbraio

Eterne leggi

di Clarice Tartufari

La stella di Venere, sola a ornare il silenzio vasto del cielo soffuso di bianchezza nella soavità dei primi albori, entrò per la finestra nel salone della casa addormentata e incoronò di piccoli raggi la fronte di Iulia bella, che rispose al saluto irradiandosi di fulgori.

Iulia bella non sorrideva con facilità; anzi si dilettava di rimanersene cinta di mistero sopra il fondo del piatto amatorio, dove un vasaio di Castel Durante l’aveva collocata in effigie, dotandola di venustà squisita fra la doppia lista dei capelli assettati dietro le orecchie e segnati di colore acceso per una fettuccia scendente dal capo, lungo le gote, fin sopra le spalle cariche a dovizia di pendagli e catene.

Ma nell’albeggiare di quella mattina di San Giovanni, mentre la campagna usciva dalla quiete notturna con tenui bisbigli, Iulia bella si compiaceva d’intrattenersi con la stella di Venere, come quando, forse, in altri secoli ella inviava sospiri alla notte gemmata da qualche balcone di qualche palazzo pesarese, dopo avere motteggiato donnescamente coi gentiluomini di Alessandro Sforza, duca novello di Pesaro, o aver danzato per alleviar la noia di madonna Lucrezia Borgia, moglie giovanetta del Signore Giovanni.

Titolo: Eterne leggi

Autrice: Clarice Tartufari

Le riscoperte n°84

Pubblicazione 19 febbraio

Dal vero

di Matilde Serao

Di certo il fanciullo era bellissimo. Aveva gli occhi grandi ed azzurri, ma di quell’azzurro vero, leale che non diventa mai nero di sera; il bianco della cornea era anche irradiato da una tinta bluastra, cosa che faceva sembrare anche più grande la pupilla: i lumi della sala, riflettendosi in quegli occhi azzurri, vi accendevano una stella luccicante, una sola. Poi era biondo; non tendente al giallo, come la Gioconda di Leonardo da Vinci, né al fulvo, come la Maddalena del Tiziano, e nemmeno come dovette essere biondo il danese Amleto: quei capelli erano fini, lucidi, biondi e dolci alla vista, riposavano lo sguardo stanco da tante teste sfrontatamente brune. Quella testina originale, dal profilo abbozzato, dai lineamenti puri, dalla fronte serena, attirava il mio sguardo.

Titolo: Dal vero
Autrice: Matilde Serao
Le riscoperte n°83
Pubblicazione 12 febbraio

Leggende delle Alpi

di Maria Savi Lopez

I secoli passano lasciando alle nuove generazioni una eredità di gloria o di dolore, di speranza o di sconforto, e spesso innanzi a diversi ideali, ad altre aspirazioni ed alla lenta ma inevitabile evoluzione del pensiero, della vita, della storia, perdesi il ricordo del tempo lontano; grandi figure scompaiono fra la nebbia, e l’oblio rende ignota l’origine delle nazioni, mentre la mente può smarrirsi se va studiando il lontanissimo passato. Ma non di rado avviene che le leggende, rimaste come prezioso ricordo nella coscienza popolare, conservano fra mille veli, nella semplice loro poesia o nell’epica grandezza il segreto del passato. In questo caso esse stanno come vittoriose vicino alla polve che ricopre ogni altra cosa; sono fiori che olezzano fra le spine, sono faci dalla luce pallida o sfavillante che appariscono fra l’ombra; sono la gloria o il pianto, le sventure o le credenze, l’odio o l’amore dei padri nostri. Esse possono ricordarci le grandi figure di uomini che li beneficarono e il pauroso aspetto dei loro oppressori; il tremendo sembiante delle divinità che andavano placate con orrendi sacrifizii, o la vanità che pareva persona, degli spiriti gentili ch’essi vedevano fra le rose e fra le nubi.