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Il Natale di Flavia de Luce

di Alan Bradley

Si profila un triste Natale per l’undicenne Flavia de Luce. Le condizioni economiche negative hanno costretto il padre a dare in affitto parte della dimora di famiglia a un’intera troupe cinematografica per girare un film ambientato in una tipica casa nobiliare di campagna inglese. Il caotico tran tran delle riprese viene però interrotto da una serie di incidenti inattesi. E un raccapricciante assassinio offre a Flavia di esercitare finalmente il candido intuito di detective infallibile e la perizia di scienziata sperimentale.

 

«Una magnifica immersione nell’Inghilterra degli anni Cinquanta al seguito della ragazzina più furba e incorreggibile del mondo» (Kirkus Reviews).

 

 

Un triste Natale si profila per l’undicenne Flavia de Luce e nemmeno gli amati esperimenti di chimica, da un po’ di tempo tendenti irresistibilmente a sintetizzare veleni, riescono a consolarla. Le condizioni economiche negative hanno costretto il padre a dare in affitto parte della dimora di famiglia. La tenuta di Buckshaw, con il parco innevato e la magione sterminata, dovrà ospitare un’intera troupe cinematografica per girare un film ambientato in una tipica casa nobiliare di campagna inglese.

L’invasione si rivela meno noiosa del previsto. Al contrario, Flavia, le tremende sorelle Daffy e Feely, l’impareggiabile Dogger e la fedele signora Mullet, si trovano trascinati nel pieno della tempesta creativa filmica, chiassosa irriverente divertente, e soprattutto fanno spigliata conoscenza con la diva delle dive, Phyllis Wyvern che non si capisce mai quando smette di recitare, e con il suo partner, Desmond Duncan, dal profilo che si staglia nell’aria.

Il caotico tran tran delle riprese viene interrotto da una serie di incidenti inattesi. Una bufera di neve isola la casa da tutto il mondo esterno. E un raccapricciante assassinio, preannunciato da parecchi particolari, allusivi o indiziari, offre all’ingegnosa Flavia di esercitare finalmente il candido intuito di detective infallibile e la perizia di scienziata sperimentale.

I misteri di Flavia de Luce avvincono in una atmosfera assieme tenera e tenebrosa, perfida con un fondo di innocenza. La voglia di seguirli pagina dopo pagina, in un intrattenimento gustoso e venato di attesa, verosimilmente viene dall’audace miscela di Sherlock Holmes, Agatha Christie e Pippi Calzelunghe, amalgamati da un’ironia fatta di sottintesi e doppi sensi, acuta e pura come solo una vera undicenne intelligente e priva di pregiudizi che racconta può creare. Ma su ogni sensazione da lettori domina lei, Flavia de Luce, cui basta la singola parola con cui la descrisse il «New York Times»: incantevole.

La loggia massonica delle tenebre

di Heike Koschyk

Jena, 1780. Un giovane studente di medicina, Christoph Wilhelm Hufeland, è testimone dell’omicidio di un compagno di corso. Quando il cadavere del giovane scompare misteriosamente, Christoph cercherà di far luce sull’oscura vicenda con l’aiuto di Elena, la sorella dell’amico. Ma a un certo punto le loro indagini li porteranno a scontrarsi con qualcosa di pericoloso e inquietante: una loggia massonica senza scrupoli, pronta a fare esperimenti su giovani ragazze per mettere a punto un potentissimo farmaco. È forse per questo che il fratello di Elena è morto? Aveva forse scoperto qualcosa? Accompagnati dal dottor Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia, Christoph ed Elena si mettono sulle tracce di una misteriosa formula in grado di assicurare la vita eterna. Ma qualcuno farà di tutto per impedire loro di trovare quello che stanno cercando…

 

La formula per la vita eterna potrebbe costarti la vita

 

Esiste davvero la formula segreta in grado di assicurare la vita eterna?

Un avvincente romanzo storico tra mistica e scienza, amore e follia

Avvicinati e scoprirai il segreto della vita eterna

 

«Un omicidio per ottenere la formula di un farmaco misterioso in grado di allungare la durata della vita: questo è il fulminante inizio di La loggia massonica delle tenebre.»

Niendorfer Wochenblatt

 

«Un thriller dall’esito imprevedibile.»

Heike Rau

 

«Denso ed emozionante.»

Rotraud Tomaske, leser-welt.com

Publisher

di Alice Di Stefano

Un uomo, una donna: tre anni di passione, litigi, viaggi nonché grandi successi per la casa editrice di lui. Gli avvenimenti di un periodo particolarmente felice sono l’oggetto di questo libro che, attraverso una scrittura veloce e piena di humour, traccia la vicenda di un uomo controcorrente, tenacemente sui generis. Grazie a digressioni e continui flash back, tuttavia, è ricostruita qui l’intera vita e carriera del “Publisher”, che, partito da un paesino nelle Marche, dopo una fase di apprendistato a Manchester e poi a Londra, diventerà in poco tempo il protagonista di una parabola ascendente e fortunata con la fondazione di ben due società tra cui la nota casa editrice. A venir fuori, in tutta la sua esuberanza, è un personaggio sfrontato, dal carattere impossibile, a volte tenero (a volte meno), un po’ guascone, in una parola irresistibile, che, passando con disinvoltura da un ambiente a un altro (grazie alla sua doppia attività e a una naturale, caparbia intraprendenza), finirà per conoscere tutte le figure chiave degli ultimi decenni. Un personaggio positivo, nonostante i difetti, che l’autrice di questa commedia (e protagonista insieme a lui per un gioco metanarrativo condotto abilmente sul filo dell’autofiction) ha voluto descrivere nei minimi aspetti del carattere, per un racconto pieno di verve e divertentissimo non privo di gustosi retroscena sul mondo dell’editoria.

 

Publisher è il ritratto ironico e spiazzante di un editore visto con l’occhio divertito di un’osservatrice d’eccezione. Ma la storia di quest’uomo e della sua caparbia intraprendenza è anche lo specchio di una generazione che è riuscita a farsi da sola e uno spaccato del mondo editoriale negli anni d’oro prima della crisi.

 

Dicono di questo libro:

«In questo libro compare l’Italia dei saloni del libro, degli eventi culturali, dei premi, popolata da un sottobosco di strepitosi (anche in senso etimologico) figuri. Un palio dei buffi da far invidia a quello di Palazzeschi»

Giuseppe Leonelli

 

«Alice Di Stefano finge di scrivere la biografia del suo compagno per raccontare i dietro le quinte anche non culturali dell’editoria».

Laura Piccinini, D La Repubblica

 

Alice Di Stefano dopo la laurea, il dottorato, l’assegno di ricerca (un breve periodo di attività come giornalista sportiva free lance, diverse pubblicazioni scientifiche e numerose comparsate al cinema), ha insegnato letteratura contemporanea all’università. Poi, conquistata dal mondo dell’editoria e soprattutto dall’editore, ha iniziato a lavorare alla Fazi, in cui è editor dal 2008, fino a dar vita a Le Meraviglie, uno spazio tutto suo dedicato espressamente alla narrativa umoristica, a guide insolite e curiose e a tutto ciò che più le piace.

La regina scalza

di Ildefonso Falcones

Siviglia, gennaio 1748. Una giovane donna con la pelle nera come l’ebano cammina lungo le strade della città andalusa. Il suo nome è Caridad; si è lasciata alle spalle un passato di schiavitù nella lontana colonia di Cuba, ma il paese sconosciuto in cui si ritrova inaspettatamente libera le appare persino più spaventoso delle catene. Il suo destino sembra ormai segnato quando incrocia i passi di Melchor, un gitano rude ma affascinante. Accolta nel borgo di Triana, dove il ritmo dei martelli nelle fucine dei fabbri fa da sottofondo al cante flamenco e alle sensuali movenze delle danze gitane, Caridad conosce Milagros, la bella nipote di Melchor e tra le due donne nasce un’amicizia profonda.

Mentre la gitana, nelle cui vene scorre il sangue della ribellione, confessa il proprio amore per l’arrogante Pedro García, dal quale la separano le antiche faide tra la famiglia del ragazzo e la sua, Caridad lotta per nascondere il sentimento che, ogni giorno più forte, la lega a Melchor. Ma una tempesta ben più devastante sta per abbattersi sui loro tormenti: nel luglio 1749 i gitani vengono deportati in massa e condannati ai lavori forzati e alla reclusione, in quella che passerà alla storia come la grande retata. La vita di Milagros, sfuggita alla cattura, imbocca una drammatica svolta, e poco dopo un’altra, più intima tragedia la obbliga a separarsi da Caridad. Le loro strade si allontanano, ma il destino porterà entrambe a Madrid, cuore pulsante di una Spagna in cui soffia il vento del cambiamento…

Luna bugiarda

di Ben Pastor

Martin von Bora, il detective-soldato della Wehrmacht che l’autrice ha ricavato liberamente dalla figura di von Stauffenberg, è di ritorno dall’inferno di Stalingrado da dove è riuscito a salvare il manipolo dei suoi soldati. Lo ritroviamo, in questo romanzo, promosso maggiore e stanziato, sul finire del 1943, in un paese presso Verona. Vi svolge operazioni contro i partigiani, mentre incombe l’occhio delle SS che lo considerano politicamente poco affidabile. Un attentato dei patrioti lo ha privato della mano sinistra, ma le ferite della guerra lo dilaniano nello spirito molto più che nel corpo.

A Lago, la località dov’è di stanza, il colonnello Habermehl gli chiede di indagare su un caso; è per un favore ai miliziani di Salò, che sperano di trovare nel tedesco un interlocutore più malleabile della polizia di Stato. Perché il morto è una specie di monumento del fascio. Vittorio Lisi, un eroe mutilato, vicino a Mussolini, ricchissimo e dal prestigio carismatico. È caduto, investito da un’automobile sul viale della sua villa. Si sospetta della moglie Claretta, una sorta di fotocopia delle dive dei telefoni bianchi. Ma non mancano altre piste: mariti gelosi, strani giri di danaro, ragazze compromesse, invidie politiche.

Sull’omicidio indaga anche l’ispettore Guidi della polizia. Il funzionario, costretto a collaborare con Bora, non stravede per l’ufficiale della Wehrmacht. È un «afascista», stanco di retorica e violenza, e vede nell’aristocratico ufficiale niente più che un «crucco» nazista e antisemita. Ma li avvicina sottilmente l’infelicità esistenziale e all’italiano pare di intravedere di quando in quando la qualità umana sotto la rigida scorza di distacco, talvolta spietato, del tedesco.

I due seguono sul delitto piste divergenti. E non è soltanto diverso l’obiettivo prescelto, eterogeneo è proprio lo stile d’indagine: Bora è sistematico e logico segugio di indizi, Guidi invece è più intuitivo e attento a un’ipotesi generale. Nel frattempo, intorno a loro, piovono altri cadaveri e non si capisce bene quanti spettino alla guerra e quanti a carico dell’assassino.

Chi già conosce il barone von Bora, animo dolente su cui sembra incombere il fato, lo troverà più amaro dei romanzi precedenti. La ferocia della guerra e le vicende personali tendono allo spasimo le sue corde. Ma soprattutto macera in lui la tragedia di chi era troppo nobile sia per disubbidire al giuramento del soldato sia per ubbidire al demoniaco tiranno. E non aveva che da dilaniare se stesso. Svelare un intricato omicidio diventa, per Martin Bora, un lenitivo del male di cui si avvertiva burattino.

Settembre 1943. Il maggiore della Wehrmacht Martin Bora si trova distaccato a Lago, nei pressi di Verona, dove rimane vittima di un attentato: si salva, ma subisce l’amputazione della mano. Si è appena ripreso dall’intervento quando viene incaricato di seguire le indagini su un omicidio: un importante gerarca fascista, Vittorio Lisi, è stato investito sul viale della sua villa. Si sospetta della moglie Claretta. Ma il maggiore Bora dubita che il movente del delitto sia solo un affare di famiglia, e guarda oltre.

La ragazza n°9

di Tami Hoag

Un’indagine degli investigatori Sam Kovac e Nikki Liska

Una collaudata coppia di detective. Il cadavere mutilato di una ragazza. Un serial killer che sembra non aver mai commesso errori…

 

La notte della vigilia di Capodanno, la gelida Minneapolis viene scossa da un macabro episodio: a seguito di un banale tamponamento, il cadavere brutalizzato di una giovane donna cade dal bagagliaio di una macchina che poi scompare nel nulla.

È la nona ragazza trovata morta dall’inizio dell’anno, ma questa volta le torture subite non permettono di identificarla. Il caso viene affidato ai detective Sam Kovac e Nikki Liska, collaudata coppia investigativa che avrà il compito di scoprire chi sia quella ragazza e chi la odiava tanto da volerla far fuori. Il timore più grande è che la loro “Jane Doe” sia la nona vittima di uno spietato serial killer che sta terrorizzando l’America e che tutti chiamano “Doc Holiday”, perché colpisce prevalentemente durante le feste. Ma inseguendo la verità, Kovac e Liska si accorgeranno che la loro “ragazza numero nove” aveva a che fare con dei mostri tutti i giorni… E quando un’altra giovane donna scompare, i due detective dovranno affrontare una domanda cruciale: il male più grande è quello che non vediamo arrivare o quello che conosciamo bene perché vive accanto a noi?

Tradotta in trenta Paesi

Milioni di copie vendute

Arriva in Italia la regina del thriller

 

«La prosa di Tami Hoag è rapida e precisa come un colpo di arte marziale, il ritmo è ad alta tensione, e il suo modo di descrivere le problematiche adolescenziali, gli effetti del divorzio e la psicosi del serial killer è consapevole e toccante. Questo romanzo è il suo capolavoro.»

Booklist

 

«La ragazza N°9 è un romanzo avvincente condito con dialoghi che rappresentano un’eccellenza nel genere.»

Entertainment Weekly

 

«Tra i più intensi scrittori di thriller in circolazione.»

Chicago Tribune

 

«Le storie della Hoag sono perfette. Il lettore si trova sempre a fare il tifo per i suoi personaggi.»

Kirkus

 

«Tami Hoag è bravissima a controllare le trame e tenere alta la tensione in ogni pagina.»

Huffington Post

 

«Splendido… Tami Hoag non ha rivali. I colpi di scena mozzafiato si susseguono senza sosta in questo avvincente romanzo.»

Publishers Weekly

 

DanubioDanubio

di Claudio Magris

Paesaggi, umori, incontri, riflessioni, racconti di un viaggiatore sterniano che scende con pietas e con humour lungo il vecchio fiume, dalle sorgenti al Mar Nero, ripercorrendo insieme la propria vita e le stagioni della cultura contemporanea, le sue fedi e le sue inquietudini. Un itinerario fra romanzo e saggio che racconta la cultura come esperienza esistenziale e ricostruisce a mosaico, attraverso i luoghi visitati e interrogati, le civiltà dell’Europa centrale – in tutta la complessa varietà dei suoi popoli e delle sue culture – rintracciandone il profilo nei segni della grande Storia e nelle effimere tracce della vita quotidiana.

Viaggio esterno, dunque, e avventura interiore, minuziosa documentazione erudita che diventa materia di finzione e di digressione fantastica per un viandante curioso di luoghi, libri e persone che redige un piccolo Decamerone danubiano con storie e vicende, destini individuali e collettivi rimasti impigliati sulle rive del fiume e del tempo. Il Danubio diviene un labirintico percorso alla ricerca del senso della vita e della storia, sull’atlante della vecchia Europa e del nostro presente.

Villette

di Charlotte Bronte

 

A 160 anni dalla sua prima pubblicazione torna in libreria l’ultimo romanzo di Charlotte Brontë, dai toni nettamente autobiografici, “referto di un naufragio interiore”. L’accurato studio psicologico dei personaggi e la vivace descrizione della vita in un collegio femminile del XIX secolo lo rendono un piccolo gioiello nascosto della letteratura anglosassone.

 

Quando Lucy Snowe ottiene il posto di istitutrice in un collegio femminile in Belgio, per la prima volta la fortuna sembra sorriderle. Orfana e indigente, timida e sgraziata, per la ragazza quel trasferimento oltremanica è l’occasione per lasciarsi i grigi sobborghi inglesi alle spalle e ricominciare da zero. Ma iniziare una nuova vita non è un’impresa da poco: arrivata a Villette – città immaginaria plasmata da Charlotte Brontë sul modello di Bruxelles –, in un ambiente che le è estraneo, senza parenti né amici, Lucy ci mette del tempo a superare l’iniziale spaesamento e a prendere in mano le redini della propria esistenza. Grazie alla propria forza di carattere, la giovane riesce a guadagnarsi la stima dell’autoritaria direttrice del collegio, Madame Beck, e a entrare in confidenza con suo cugino, il professor Paul Emanuel, un uomo gentile e brillante ma poco portato per la vita mondana a causa del suo temperamento focoso. E proprio nel momento in cui tra i due sembra essere scoccata la scintilla di un’intensa e tormentata storia d’amore, arriva a Villette John Bretton, affascinante amico d’infanzia di Lucy, che costringerà la ragazza a fare i conti con i dubbi e le scelte che s’impongono a ciascuno di noi quando cerca il proprio posto nel mondo.

Lo zio Oswald

di Roald Dahl

Discepolo di Don Giovanni, ma con un occhiuto senso degli affari e una robusta conoscenza dell’animo maschile, oltre che di un vastissimo catalogo di corpi femminili, Oswald Hendryks Cornelius è un raffinato viveur insaziabilmente devoto al culto del bello. La sua avventura inizia da una scoperta accidentale, che lo porta a conoscenza delle insospettabili virtù afrodisiache dello scarabeo vescicante sudanese. Complici il potente filtro d’amore e un’incantevole partner d’affari di nome Yasmin, Oswald tenta di rapire «con destrezza» il seme dei più grandi geni dell’epoca – da Picasso a Freud, da Proust a Puccini e molti altri ancora –, al fine di perpetuarne l’estro.

Già apparso in due racconti, il personaggio dello zio Oswald diventa protagonista di un intero romanzo finora inedito in Italia, un piccolo gioiello che ancora una volta consacra Roald Dahl maestro dello humour raffinato.

La banda Sacco

di Andrea Camilleri

«Penso che il caso sia unico nella storia giudiziaria italiana pur così pesante di capitoli sciagurati» (Umberto Terracini).

Raffadali, provincia di Agrigento, anni Venti del Novecento. I fratelli Sacco sono uomini liberi, di idee socialiste, hanno il senso dello Stato, si sono fatti da sé seguendo l’esempio del padre Luigi che li ha allevati nella cultura del lavoro e del rispetto degli altri. La vita cambia quando una mattina il capofamiglia riceve una lettera anonima, poi un’altra, poi subisce un tentativo di furto. Luigi Sacco denunzia le richieste estortive ai carabinieri, che però si trovano disorientati: nessuno in paese ha mai osato denunziare la mafia. Da quel momento i Sacco dovranno difendersi. Dalla mafia e dalle forze dell’ordine, dai paesani complici, dai traditori, dai maggiorenti del paese tra tentativi di omicidio, accuse false, testimonianze bugiarde.

«Ma c’era la mafia» – «Eccome, se c’era!»: a chiusura di capitolo e, a seguire, subito dopo, ad apertura di capitolo, come in una ntruccatura, in una concatenazione tra ottave siciliane. La sensazione è quella di una voce che racconta, sgraffiando le parole nell’aria e modulandole alla maniera di un cantastorie che, sul prospetto di un cartellone dipinto, va narrativizzando, riquadro dopo riquadro, la declamazione larga e sonora della vicenda. Ed è dentro questa simulazione di un genere popolare che si aggiorna il modello giudiziario della manzoniana Storia della Colonna Infame, con il suo andar contro le inchiostrature del romanzesco e porsi dietro il dorso delle cose, mescolando racconto e riflessione, dettagli e postille critiche: sempre stringendosi ai fatti, interrogando le contraddizioni dei «documenti», siano essi forniti dalle confessioni estorte con i ricatti e le violenze, dalle deposizioni dei presunti testimoni, da un memoriale, o dai risultati processuali; nella convinzione che la verità sfugge dietro l’angolo e viene affatturata dagli accusati che si fanno accusatori, dai causidici, dai metodi d’indagine talvolta barbarici, dal disporsi della giustizia da una parte e della politica dalla parte opposta.

Costante è, in questo racconto reale, il paesaggio di una Sicilia rurale: le pietraie, le fratte rocciose, i pascoli; la magia botanica dei pistacchieti con i loro fiori unisessuali, le promesse di notti arabe del sambuco che tra le foglie nasconde le cantaridi, le cantilene degli stagionali che hanno già attraversato le scene «campestri» di Pirandello. All’inizio, nel secondo Ottocento, c’è il patriarca Luigi Sacco, bracciante d’ingegno e passione. Vengono poi i discendenti, grandi lavoratori tutti, e socialisti, tra emigrazione transoceanica e chiamata alle armi nella Grande Guerra, malversazioni e canaglierie di rozzi capimafia con alle spalle pupari altolocati, che prosperano nella latitanza dello Stato e sanno come avvantaggiarsi nella tragica notte del fascismo, nonostante il pugno di ferro del prefetto Mori (e grazie ad esso, anzi) che seppe abbattersi anche sui comuni oppositori politici. I cinque fratelli Sacco conoscono la disperazione a vivere in un regime di mafia. Si danno alla latitanza. Si sentono investiti di un ruolo di supplenza nella lotta (armata) contro i persecutori mafiosi. Diventano giustizieri solitari, nel silenzio ottuso dell’omertà: cittadini eslègi di uno Stato che non ha saputo garantirli. Vengono arrestati, processati, e inventati come «banditi» e predoni d’assalto. In carcere conoscono l’antifascismo. Incontrano Umberto Terracini e incrociano Gramsci.

Il succo della storia, di questo western nostrano di onest’uomini indotti e costretti a farsi vendicatori, è di declinazione manzoniana: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi». Salvatore Silvano Nigro