di Maria Antonietta Torelli Vollier (Marchesa Colombi)
Ed ora, signori lettori, che ci siamo reciprocamente presentati scambiandoci le carte da visita, come si usa tra le persone ammodo quando non hanno la fortuna di potersi vedere, tiro via colla mia storia. Non vanto illustri avi, né sono figlio di paltonieri. Appartengo all’umile classe dei borghesi. Non sono né ricco né povero. Ho trent’anni.
Quattro anni sono mi accesi d’una grande passione; feci le debite pazzie, e poiché le donne sogliono misurare e compensare l’amore a seconda delle pazzie che fa fare, fui, come di ragione, riamato. E per quella volta la donna mia non prese abbaglio, dacché io l’amassi davvero con un trasporto che non avevo mai conosciuto prima. Napoleone III o non so chi altri, pronunciò una parola meritamente celebre: «Quanto dura l’eternità in Francia?» Se il plagio non deprezzasse la mia trovata, sono certo che diverrei altrettanto famoso dicendo: «Quanto dura l’eternità in amore?»
Rinuncio alla celebrità ma non al motto: «Quanto dura l’eternità in amore?»
Ahimè! In tutta buona fede avrei accettato allora di passare la vita senza un’altra gioia, né un altro affetto, né un altro interesse, né un’altra ambizione, fuorché l’amore di quella donna. Non mi credevo suscettibile di altro sentimento. Al confronto di quell’attrazione potente, irresistibile, gli altri sentimenti mi sembravano meschine convenzioni sociali.
Alcuni amici s’avventurarono a dirmi:
– Massimo, non pensi che è sleale corteggiare la moglie d’un altro, e, peggio, d’un amico? La tua coscienza non ripugna dallo stringere sorridendo la mano d’un uomo che tradisci?
È la frase consacrata.
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